14 maggio 2013

Pericolosa iniziativa grigionese che indebolisce l'italiano


Intervista di Ticinolibero - 13.5.2013
Link ticinolibero.ch

La battuta di Marco Romano? «Estremamente fuori luogo»
Nadia Pittà, presidente del comitato cantonale del Partito socialista, ha origini poschiavine. L’abbiamo interpellata per cercare di capire perché nel Canton Grigioni si voglia mettere in discussione l’insegnamento dell’italiano. Pittà considera l’iniziativa popolare cantonale lanciata in tal senso estremamente preoccupante, e replica alla provocazione di Marco Romano… .
Nadia Pittà, nel Canton Grigioni è stata lanciata un’iniziativa popolare che vuole l’insegnamento di una sola lingua alle scuole elementari: nelle regioni italofone il tedesco, mentre nelle regioni germanofone l’inglese. Lei, da poschiavina, cosa ne pensa?
«Già in passato vi era stato il dibattito sull’insegnamento delle lingue secondarie nelle scuole, e si era voluto cercare di mantenere un’equità nelle conoscenze linguistiche. Questa iniziativa non mi sorprende, così come non mi sorprende chi l’ha lanciata. Ma sarebbe un impoverimento culturale, perché parlare una lingua, conoscere una lingua, significa apprendere un sistema linguistico, avvicinarsi ad una cultura, ad un sistema di pensiero. Per me ha un valore culturale inestimabile. Conoscere le lingue e dunque importante, in un contesto in cui la coesione è sempre più messa in discussione. Una simile iniziativa, che oggettivamente sarebbe a svantaggio di italofoni e dei romanci, è assolutamente incomprensibile, ed è politicamente un messaggio molto pericoloso che viene mandato al resto della Svizzera. Se già un cantone Grigioni, trilingue, riduce la conoscenza delle lingue autoctone, è veramente preoccupante».
Come giustamente sottolineava, non è la prima volta che l’italiano viene messo in discussione. Ma è così importante dare priorità all’inglese, da parte di chi promuove questa proposta?
«L’inglese giocoforza è una lingua che poi tu impari, chi si muove a livello nazionale e internazionale a priori deve impararlo. Anche a livello universitario parecchi documenti sono in inglese, l’informatica, … . Ma giocare sul fatto che l’inglese ha un valore “globale” è uno sgambetto verso le minoranze linguistiche grigionesi, che vedono allontanarsi il principio della coesione e della solidarietà all’interno del cantone. Si va verso uno sgretolamento di quei principi che in passato erano intoccabili, e loro erano soprattutto per la destra. Quello che dà estremamente fastidio è che adesso proprio la destra, forse perché l’inglese è la lingua del mercato, della finanza, si mette seguire le strade dettate dall’economia, anche su questi temi. A mio avviso però, visto il valore culturale di una lingua, non si può transigere a favore dell’inglese».
Quando è stato annunciato il lancio di questa iniziativa Marco Romano su Facebook ha provocatoriamente scritto “considerato il rispetto per l’italiano da parte dei grigionesi, il “Grigioni italiano” (dalla Moesa fino al Bernina passando dalla Bregaglia) si stacchi dal proprio Cantone e si annetta al Ticino”. Cosa ne pensa?
«Noi grigionesi siamo molto attaccati alle nostre tradizioni politico-culturali, e anche il legame nei confronti di Coira è forte. Una cultura sotto certi versi più “montana”, che ci porta a sentirci più uniti. È una cultura diversa da quella ticinese. Posso immaginarmi che un mesolcinese, che vive più vicino al Ticino e vi è più legato, possa sentirsi attratto. Da lì a mettere in discussione i confini cantonali… ma non si rafforzerebbe il multilinguismo, e tanto meno quello grigionese. La trovo una battuta estremamente fuori luogo, perché si indebolirebbe ulteriormente il valore dell’italiano, anche per il Ticino. L’italiano sarebbe la lingua di un solo cantone, perderebbe di importanza».
In passato si sono viste università che volevano abolire le cattedre di letteratura italiana, licei che volevano abolire l’insegnamento opzionale dell’italiano, nei Grigioni abbiamo quest’iniziativa, … . Secondo lei, al di là degli appelli, è possibile fare qualcosa di più per la salvaguardia dell’italiano in Svizzera?
«Io sono molto legata al concetto universitario di von Humboldt, e in tal senso ad esempio ho visto la nascita dell’Università della Svizzera italiana come una grande criticità, proprio perché non offriva una multidisciplinarietà e un cuore linguistico. Bisogna tornare a valorizzare la conoscenza della lingua, con tutto quello che c’è dietro. La linguistica ha un valore inestimabile, ha un influsso sul nostro modo di pensare. Tutte cose che non si traducono immediatamente in soldi, ma che permettono una flessibilità, un dinamismo mentale preziosissimo. Per tornare alle università, le cattedre devono nascere, non sparire: ma non solo quelle rivolte al mercato o a quelle scienze funzionali al mercato. Il valore aggiunto deve nascere dal ripensamento del valore dell’italiano, anche perché non ci sono solo i ticinesi e i grigionesi, ma anche una forte componente di italiani che sono immigrati in Svizzera. Insomma, bisognerebbe investire sulle lingue nazionali, com’è stato il caso quando si è salvata la cattedra di romancio a Friborgo. Quello che si potrebbe fare è ad esempio favorire la mobilità, ad esempio collaborando maggiormente con le università italiane, che potrebbero portare anche numerosi studenti. Un ragionamento analogo andrebbe fatto peraltro anche con altre lingue non nazionali presenti sul territorio svizzero. Il passo successivo è chiaramente riportare le conoscenze sul territorio, non lasciandole confinate nei muri delle università, facendo conoscere gli studi che emergono. In questo senso manca un impatto di queste conoscenze nella vita quotidiana, il ponte fra il mondo accademico e il mondo reale è carente, e ancor più in termini linguistici».