Parliamo di “disagio & violenza in età giovanile”…
Divieti, repressione e punizioni - i giovani meritano di più!
La violenza giovanile è ormai una parola all’ordine del giorno e affrontare la discussione è senz’altro importante per l’intera comunità, che rischiano di spingere ai suoi margini i giovani e le famiglie coinvolte in certe difficili realtà sociali. E quando si affronta questa tematica bisogna evitare da un lato di drammatizzare, dall’altro di banalizzare a proposito delle cause e delle conseguenze legate a queste espressioni violente. Una cosa è certa: è ora di andare a fondo dei problemi, di promuovere proposte costruttive in modo propositivo e di investire finalmente in soluzioni non solo a breve termine, ma a medio e lungo termine. Sappiamo ormai che non è necessariamente interesse di certi politici proporre misure costose quando i risultati emergono in tempi medio-lunghi, in quanto è poco pagante dal punto di vista del ritorno mediatico ed elettorale, ma è anche vero che la sfiducia e il disinteresse verso il mondo della politica può essere anche l’espressione della distanza abissale che si sta creando tra i discorsi politici e le esigenze della popolazione in difficoltà. Per rivolgersi con una certa serietà e lungimiranza al problema del disagio giovanile diventa inevitabile dimostrare di avere la volontà di investire nella società del domani. Senza un impegno serio anche in termini finanziari, i buoni propositi e i buoni progetti rischiano di rimanere tali per molto, troppo tempo. I divieti e la repressione fino ad oggi non sembrano aver risolto i problemi di criminalità e tanto meno ad evitare la violenza, mentre l’informazione, la formazione, la prevenzione, l’accompagnamento sociale e l’istituzione di strutture idonee a rispondere alle diverse problematiche, sono delle soluzioni che richiedono risorse in termini di persone, tempo e denaro. Non si tratta in definitiva di facili scorciatoie normative, come un banale divieto al “botteillon”. Non ci si può accontentare di specchietti per le allodole, i giovani sono e meritano di più. Come meritano di più certi dati contenuti in note a pié di pagina del rapporto del gruppo di lavoro cantonale per la violenza giovanile (1.Rapporto, pag. 9) - ad esempio che fra il 2006 e il 2007 i casi problematici segnalati all’Ufficio delle famiglie e dei minorenni è aumentato del 30% (nel 2007: 1825 casi seguiti, 1490 famiglie di cui il 75% monoparentali, 369 sono casi fortemente problematici, ecc.), oppure che vi sono circa 80-100 ragazzi alloggiati presso pensioni e alberghi” e una cinquantina che considerano la strada la loro casa. Queste sì sono urgenze! Insomma, se ci si vuole chinare veramente sul problema, allora bisogna avere il buon senso di farlo con onestà e rispetto, con responsabilità civica e sociale.
Se i problemi si vogliono risolvere alla radice, l’approccio alla questione deve cambiare e le tante parole vanno al più presto tramutate in fatti. Non mi ritrovo in un approccio che pretende di risolvere il problema della violenza giovanile partendo dagli atti criminali. Questo non significa che non riconosco l’utilità di promuovere sistemi volti alla responsabilità sociale, civile e civica; condivido la necessità di non lasciare impunito alcun atto che viola la legge, ma questo non significa che nel rendere efficaci misure di questo tipo, si debba poi optare per l’estensione di questo approccio a più ambiti e livelli. Ritengo sia assolutamente fuori luogo pensare di trovare risposte alla violenza giovanile, partendo principalmente dalle punizioni, dai divieti e dalla repressione. I rapporti del gruppo di lavoro cantonale per la violenza giovanile Giovani Violenza Educazione pubblicato da poche settimane sul sito del Dipartimento delle istituzioni, specialmente il secondo rapporto, sembrano affrontare la questione piuttosto da questo punto di vista. Vi sono diverse proposte condivisibili, certo, ma vi sono altresì proposte alquanto discutibili, che espresse da un gruppo di lavoro multidisciplinare come quello esistente, acquisiscono facilmente una credibilità che invece politicamente necessitano di una discussione approfondita. Potrebbe essere maggiormente opportuno ragionare in altri termini: affrontare il disagio giovanile, partendo dalle cause del disagio - le situazioni familiari e sociali, le dinamiche di gruppo, tutti quei fattori che possono portare alla violenza; il documento propone anche questo, ma poi nell’insieme le emergenze e gli apprendimenti si perdono in tutt’altra direzione.
Perché ritengo sia indispensabile correggere e relativizzare l’approccio orientato all’intervento repressivo della polizia? Di fronte al secondo rapporto trimestrale del gruppo operativo non si può rimanere silenti: nel documento emerge in modo molto marcato lo spirito poliziesco ed indagatore alla base delle proposte del gruppo di lavoro. Controlli, schedature, divieti, repressione, punizioni e detenzione – ecco le proposte del gruppo, altro che Educazione. Che un gruppo operativo possa esprimersi in certi termini, al limite della discriminazione e dell’offesa, ma soprattutto con proposte volte semplicemente a soffocare i problemi a valle e non certo a risolverli a monte, è un fatto preoccupante e forse sintomatico. Tendenzioso ad esempio il fatto che “la provenienza”, quale fattore che può portare alla violenza venga inizialmente “scagionato” nel primo rapporto, per poi essere riproposto a più riprese nel secondo rapporto fino a diventare un fattore in cui diventa urgente intervenire.
Che l’Ufficio federale Giustizia e Polizia faccia il possibile per rendere efficace il proprio lavoro lo posso capire, ma ciò non significa che ogni mezzo è giustificato dal fine. Prendiamo ad esempio i “taser” (pistola ad elettrochoc, condannata dalla Commissione dell’ONU contro la tortura): con tutti i provvedimenti in vigore nella nostra società così detta civile, l’ammissione di queste armi equivale ad ammettere come le nostre istituzioni, responsabili di gestire situazioni delicate, non siano in effetti all’altezza di farlo senza armi di questo tipo. Come in questo preciso caso in cui a parer mio il fine non giustifica i mezzi, anche nel caso di atti violenti ad opera di adolescenti, le misure proposte dal gruppo di lavoro possono non essere necessariamente giustificate dal fine. Vi è ad esempio una proposta che intende creare la base legale per consentire alla polizia di vietare temporaneamente l’accesso a determinate aree e zone pubbliche, oppure la proposta di introdurre il coprifuoco. Preferisco pensare che, se oggi la popolazione è preoccupata per l’attitudine dei giovani verso la famiglia, la società, il proprio futuro personale e professionale, possa essere interessante approfondire le considerazioni conclusive e le misure proposte della Commissione federale per l’infanzia e la gioventù, quest’ultima incaricata di osservare e analizzare l'evoluzione della situazione dei giovani nella società e di formulare proposte che tengano conto dei bisogni dei bambini e dei giovani. Non v’è nulla di peggio di chi vuole mettere in pace la propria coscienza preferendo soluzioni repressive a misure propositive, educative, volte alla crescita.
Su una cosa bisogna essere concordi con il gruppo operativo, ossia che vi sia l’urgenza di agire su problemi che da tempo richiedono un intervento. Vi è urgenza di creare strutture come appartamenti e foyer seguiti da operatori sociali, educatori e assistenti sociali. Bisogna promuovere misure sensate, volte alla prevenzione, all’accompagnamento e al sostegno di giovani e famiglie in difficoltà. Vi è la necessità di formazione e corsi di specializzazione indirizzate a persone che lavorano con le generazioni più giovani. Diventa indispensabile non solo rendere efficace la rete sociale destinata ad esigenze in questo campo, ma anche a far conoscere la rete già presente sul nostro territorio e le possibilità esistenti.
Dedicarsi alle realtà dei giovani significa cercare di capire e condividere la nostra vita, la nostra quotidianità, i nostri tempi, le nostre abitudini, i nostri svaghi, le nostre prospettive e le nostre non-prospettive, le nostre opportunità e i nostri limiti, i nostri problemi e le nostre paure. I giovani non mirano a diventare “casi sociali”, ma lo diventano se l’unica via offerta loro dalla società è quella della schedatura, dei divieti e delle sanzioni. Una cosa è certa: oggi bisogna agire nell’immediato perché mancano strutture adeguate per almeno 150 giovani. Questa è senza dubbi un’urgenza ...che non merita di rimanere per lungo tempo una “nota a pié di pagina”!
Nadia