Alcune
premesse introduttive
Mi permetto una prima premessa, per contestualizzare il mio
intervento e, se non sarò per nulla breve, non fa niente, abbiate pazienza –
sono una donna ed è giusto che mi prenda il mio tempo e magari anche un pochino
del vostro. Non sempre i testi brevi sono esaustivi e di miglior chiarezza,
anzi. Quindi se avrete la pazienza di leggere questa riflessione fino in fondo,
ve ne sarò grata e chissà che poi alla fine non consideriate seriamente l’idea
di leggere La Grande Bugia.
Intervengo perché un amico mi ha
sottoposto una considerazione su facebook, proprio sull’intervento di Natalia Ferrara Micocci, pubblicato il 20.3.2015 sul
CdT (risp. sul suo sito) a proposito del
libro pubblicato da Sergio Savoia ed Elisabetta Gianella “La Grande Bugia”
il 9 febbraio di quest’anno. Avete capito bene, parliamo di Savoia, che non ha certo
bisogno di un’avvocata per ribattere a Ferrara Micocci (e neppure Elisabetta se
è per questo), ma anch’io mi sono fatta una qualche riflessione in questi mesi, ho ascoltato ben due volte la presentazione
del libro, l’ho in parte letto e mi sono confrontata, scontrata e riscontrata con
i duri ed eloquenti argomenti nati dall’esito (non prima) della votazione del 9
febbraio 2014 sull’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, iniziativa che
io non ho sostenuto. Sono dati che ti mettono con le spalle al muro e non ti
lasciano via di scampo, se politicamente ti interessa veramente qualcosa di
questo Ticino.
Come prima cosa oserei dire che finalmente qualcuno che non sia Verde e
non sia necessariamente vicino a Sergio Savoia si è reso conto che c’è un libro, ci sono dei dati statistici che denunciano un reale, grave problema di disoccupazione
in Ticino e che il problema della disoccupazione e della precarietà nel mondo del lavoro
ticinese con l’introduzione dell’accordo sulla libera circolazione delle
persone si è aggravato.
Non lo dice Savoia, ma i dati pubblicati
e accessibili a tutti tramite l’Ufficio di statistica cantonale, dati che non
bisogna essere professori per leggere e capire. Come non bisogna essere politici lungimiranti
per essere consapevoli che le risposte ora vanno trovate, basta parlare con chi
ci è vicino - parenti, amici e conoscenti - tutti noi conosciamo, siamo, siamo
stati o diventeremo disoccupati, viviamo da precari o da working-poor in questo
Cantone.
Che Natalia Ferrara Micocci, una delle prime che sento commentare i
contenuti del libro, abbia sul suo comodino questo libro, le fa onore.
Anche il fatto che si sia lanciata, forse anche un pochino senza paracadute, in
teorie economico-politiche non sempre scontate, va riconosciuto, ma il coraggio,
o forse la faccia tosta come qualcuno direbbe, in politica non basta.
Savoia e il
suo “vecchio armamentario”
Ferrara Micocci nel suo articolo,
prova a riassumere il testo del libro di
Savoia e Gianella riproponendolo “a mo’ di ricetta”, dice lei. Ma tutto ricorda questa ricetta, fuorché
l’essenza del libro. Ci arriva un pochino di sbieco, restando ai margini del
discorso, quando ammette che i dati economico-sociali ticinesi e svizzeri sono
sì problematici, peccato che poi cada nel ricordarci lei che nel libro da
nessuna parte vi è scritto come questi indicatori ce li invidiano nel resto del
mondo. E qui ci si chiede se il ragionamento sui diversi tipi di indicatori proposti
dal libro (il numero degli “occupati” non è allo stesso tempo il numero di
“posti di lavoro”, ecc.), lei li abbia colti. Ne cito uno solo, la
disoccupazione giovanile, che in base ai parametri dell’ILO è pari al 16%, senza
contare i giovani che non hanno maturato il diritto alla disoccupazione, chi è finito
in assistenza, gli scoraggiati che non
cercano più, ecc.). Un dato di cui andare fieri, insomma, un dato assolutamente
invidiabile, secondo lei. Viene da chiedersi se Ferrara Micocci nel sostenere
una cosa tanto inopportuna, abbia bene in mente lo sguardo disorientato,
arrabbiato o rassegnato di alcuni giovani (e non) che conosco.
Sì, la pietanza cucinata da Ferrara
Micocci mi resta indigesta. Oltre che a “considerare Sergio un “bravo polemista”
(un termine che a lui potrebbe anche piacere, visto che ci tiene a ragionare
con la propria testa) e a far riferimento alle sue doti comunicative che numerosi
avversari politici giustamente gli invidiano (sì, in questo caso si tratta
proprio di sana invidia) la sua ricetta è costituita da ingredienti come il
populismo (che se significa essere vicini alla gente, ben venga), ambientalismo
(e per fortuna!) e di frontiere chiuse (ricordo che nel libro non si parla di
frontalieri e ticinesi, bensì di residenti e non).
Lei considera quanto promosso dal
leader dei Verdi del Ticino, una serie di proposte impraticabili e
difficilmente adatte a risolvere i problemi. Se leggo bene, sostiene che la
ricetta di Savoia - populismo, ecoterrorismo, chiusura delle frontiere,
preferenza indigena, fanatismo nei confronti della democrazia diretta,
solidarismo vecchia maniera, dirigismo, ecc… porta alla rovina. Lo considera un “armamentario superato”, che
non permette il rinnovamento. In questo emerge un tono pungente di sufficienza
nel modo con cui espone il suo giudizio sul libro, divertendosi anche ad
ironizzare su aspetti a mio dire tutt’altro che leggeri …colpi bassi degni di
una campagna elettorale povera di contenuti. E trovo un tantino presuntuoso il
suo tentativo di assegnare a quanto proposto da Savoia una connotazione
“vecchia” ed inefficace. Spiega inoltre che il modello è fallimentare per due
motivi:
1) perché non è pensabile una Svizzera
sganciata da tutta una serie di obblighi a livello internazionale, in quanto
troppo dipendente dagli scambi con l’estero (obblighi che si basano su accordi,
direbbe Savoia, che vanno rinegoziati nell’interesse di entrambe le parti) e
2) perchè introduce nuove regole
economiche …e aggiungo io, vincoli che vogliono mettere dei freni al potere
dell’economia, allo sfruttamento di manodopera a basso costo, alle sostituzioni
dei residenti con personale non residente, ecc. Vincoli che mirano a tenere
alte delle condizioni di impiego del nostro Cantone minacciate da dumping e
sostituzione del personale residente con quello frontaliero.
In realtà Savoia nel libro spiega molto
di più, anche perché quanto proposto dalla sinistra non è sufficiente per far
fronte ai problemi di oggi. Numerose misure proposte da sinistra e sindacati
non hanno visto la luce e probabilmente mai la vedranno, perché non godono
della maggioranza in Parlamento. Invito i sindacalisti ed i politici di
sinistra ad approfondire i ragionamenti di Savoia sulle misure di
accompagnamento introdotte e la loro inefficacia. Altro che “vecchio Savoia”.
Il “nuovo” di Ferrara
Micocci
Ferrara Micocci afferma che sono finite molte convinzioni
anche per “chi, come i liberali, pure ha sempre diffidato dalle utopie”. Il
sistema economico a cui si ispira il suo partito non è però certo lontano da
essere considerato un modello altrettanto “utopico” che affida alla “mano
invisibile” l’autoregolamentazione del mercato che, sostenuto dal paradigma
della perfetta concorrenza, offre crescita perenne e infinita, assicurando
maggiore benessere. Lo sappiamo bene, non vi è presunzione di giustizia sociale
in questo modello economico, modello che ha tutte le parvenze di quella che
potremmo considerare veramente un’ “utopia” (dal fine tutt’altro che roseo,
ahimé). E per quello si è costruito lo Stato sociale, a sostegno di questo
modello economico fortemente “ingiusto e per nulla equo”. Le politiche di
sinistra sono servite da stampella a questo modello economico devastante,
l’hanno sostenuto ai primi cedimenti e anche quando ormai certi difetti del
modello si sono rivelati evidenti e catastrofici, i nostri Governanti l’hanno
sostenuto ancora foraggiandolo di risorse (vi dicono qualcosa i Grounding e la
faccendaccia dell’UBS)? Allora sì, ci si ricorda dello Stato! Fatti tanto
evidenti da far capire anche a Ferrara Micocci che non ci si può più limitare
al “laissez-faire”. Ci mancherebbe! Ferrara Micocci si spinge oltre, spiegando
che la direzione in cui si sta andando è tutt’altra che la “deregulation”, ma quella
è al contempo la direzione politica auspicata
da Ferrara Micocci, la fonte di ispirazione delle scelte politiche mosse dal suo
partito e dalle lobby che lo sostengono. Sostenere la tesi che laddove i
provvedimenti di Savoia sono stati introdotti, vige più povertà, i posti di
lavoro diminuiti, servizi pubblici peggiorati, il clima sociale indurito.
Questo sembrerebbe piuttosto il sunto di quello che è accaduto perseguendo il
mito della crescita economica infinita e senza regole.
La sua ricetta? Il “suo” nuovo? Niente
popò di meno che “le nuove dinamiche economiche” (e qui sorrido), basate su
“competenze, investimenti, prodotti e servizi - controlli no, naturalmente
quelli non piacciono mai (non capisco questo costante problema con la
trasparenza e i rendiconti). Sono concetti tutt’altro che scontati, già dal
primo - quello della “competenza” - si apre un mondo (lo si chieda ai docenti!).
Con una gran bella fantasia, e credetemi non mi manca, è possibile intuire
un’economia di tutt’altra natura – caratterizzata da una struttura di mercato
diversa, florea, sana, e capace di
offrire lavoro a tutti senza limiti, caratterizzata da tutt’altro livello di
standard produttivi, rispettosi della sostenibilità (sociale, economica e
ambientale) e alimentati dal motore dell’innovazione, coordinati e gestiti magari da imprenditori e
industriali alieni che …nel rispetto della redistribuzione applicano liberamente
e senza costrizione minimi salariali e la 1:12, come detto, senza che ve ne sia
la costrizione. Fantapolitica - questo è fumo negli occhi.
E alla fine della fiera, Ferrara
Micocci ci spiega cosa ha bisogno il nostro Paese – la cito e inserisco in
rosso piccole riflessioni anche ironiche su quello che lei dice e il PLR fa…
“E’ giusto, eccome, chiedere coraggio, capacità
autocritica e innovazione alla politica e alla democrazia (giustissimo, ma in primis
chiamerei in causa proprio l’economia, le lobby in Parlamento la fanno da
padroni e influenzano non poco il voto dei soldatini). (…) Al nostro
Paese serve mirata solidarietà sociale (certo, come i tagli lineari al finanziamento dei premi
di cassa malati), non indignazioni in
sequenza (andrei giustamente
oltre; all’indignazione è bene che segua la reazione –
possibilmente costruttiva, atti parlamentari che non offrono scorciatoie.
Please, mai smettere di indignarci!).
Coesione (che parli
lei con il ceto medio, sempre più al collasso, con la forbice dei salari che
cresce inesorabile), non contrapposizioni di
maniera tra “casta” e “cittadini” (ma pensa un po’, esistono anche i cittadini!). Abbiamo bisogno di compromessi intelligenti e
trasversali (difficile,
se già in Governo non vi è capacità di dialogo, volontà di ascoltare e collaborazione
improntata sul coinvolgimento di chi vive questo mondo), di ricreare alleanze solide tra produzione e
redistribuzione del reddito (guai a chiamare in causa il capitale, eh? Una bella Tobin-Tax, perfino
per l’EU non è più un tabù! Che slogan! …e niente contratti collettivi, i
diritti acquisiti sono tutta aria fritta, eh? Costano! …fatico ad intuire a
cosa lei si riferisca), di una fiscalità
leggera (e poteva
mancare? Marina Masoni ne è la maestra!), di
una scuola esigente (questa
invece mi mancava, “esigente”!), di
riconoscere e premiare ovunque il merito (giusto, peccato che poi in pratica significa premiare gli
schiavetti, gli amici degli amici, non quelli che lavorano e osano pensare con
la loro testa e magari esprimono qua e là anche critiche). Insomma, serve il nuovo, non l’usato. (E dire che il “vintage” ha uno suo
bel mercato! …scherzo, io proprio non ci capisco niente!) Ci servono inventori più che controllori (magari anche un qualche
imprenditore onesto, lungimirante, con i piedi per terra, non farebbe male). E, soprattutto, ci servono politici che si assumano
le responsabilità del mondo reale, l’unico in cui viviamo (e come darle torto), non di racconti di un mondo che non c’è (come quello propostoci da lei) e di una politica che, davvero, non si può fare (e invece sì, che si può fare!).
Cara Ferrara Micocci, quello che lei
ci propone è una favoletta, belle parole che nella politica del PLR poi però
non si vede - se non il paradigma della fiscalità leggera, ecco, quella sì. Quello
che lei dice, da un lato non è quello che poi vota il suo partito e poi, come
detto, a noi l’usato piace, piace pensare che con innovazione l’usato possa
essere il nuovo, anche in termini di misure politiche.
Ferrara Micocci sottolinea anche che
lei non è cresciuta nella bambagia e sostiene alla fine del suo giudizio, che
non ci servono politici che propongono racconti di un mondo che non c’è e di
una politica che, davvero non si può fare …definendo “vecchie soluzioni” quanto
proposto da Savoia. Ricordate “l’ armamentario superato”? Lei lo considera non
solo inefficace, lo porta ai limiti del pensiero rifacendosi al passato più
triste della nostra epoca, direi, quanto proposto da Savoia non può che
peggiorare la situazione e causare guai ancora peggiori. Ferrara Micocci
disegna Savoia quale narratore di un mondo che non c’è e al contempo si
promuove paladina del cambiamento, proponendo lei la via da seguire, quella
fatta però di slogan elettorali, di concetti economici tutt’altro che scontati,
che si basano su premesse politico-strategiche ambiziose, che poi in Ticino si
fermano però presto, in quanto devono già solo fare i conti con le ambizioni di
crescita del Sopraceneri da un lato e le pretese della Città di Lugano
dall’altro.
Ferrara Micocci in realtà propone soluzioni
che risultano favole, per chi vive in questo mondo e che purtroppo non può
aspettare che il nuovo di Ferrara Micocci si realizzi, domani, perché nel frattempo il mondo va avanti e
loro devono mangiare. Per non parlare
dei politici responsabili e coerenti, quelli ai quali fa appello Ferrara
Micocci alla fine del suo testo - siamo apposto se si tratta dei soliti
soldatini. Contare su quelli è dura, Ferrara Micocci, se vuole ottenere quanto
dice.
Ratatouille -
tra il vecchio e il nuovo
Quando ho letto lo scritto di Ferrara
Micocci, i suoi giudici, le sue proposte e le sue conclusioni, mi è subito
balzato alla mente il topino Ratatouille, sì proprio lui, il topino del cartone
animato della Disney, che si scopre essere un grande chef de cuisine in quel di
Parigi. Sì, permettetemelo, avere bimbette in famiglia è estremamente
stimolante in termini politici, perché diventano spesso loro il metro o la
bussola del nostro agire. Ma torniamo al topino. Messo alla prova Ratatouille è
capace di dare il meglio di sé, riproponendo un vecchio piatto in un modo nuovo
– un delicatissimo ratatouille – cucinato con ingredienti semplici, ma in un
modo capace di catturare i migliori complimenti di un critico gastronomico
dalle somiglianze inquietanti, che aveva chiesto di essere sorpreso con
qualcosa di sublime. L’innovazione si scopre essere la nuova ricetta di un
vecchio, semplice piatto come lo è il ratatouille, un piatto di verdure, non di
chissà quali pietanze rare e pregiate. Il vecchio non è semplicemente tutto da
buttar via, anzi, è da riscoprire, valorizzare, ed eventualmente anche da
riproporre con le dovute idee e la necessaria intuizione applicandolo al nuovo,
alle nuove realtà, bisogni e situazioni contingenti. Ratatouille alla fine del
suo percorso è pronto a proporre la sua cucina, ha una sua identità - è il nuovo che piace e che convince - non è
più legato al prestigio del lussuoso ristorante che gli ha permesso di crescere
e farsi in qualche modo “non conoscere”. E alla fine della storia la vera
innovazione è appunto quella che punta sulla qualità, e non il prodotto di
massa, prodotti spazzatura, che il gestore del lussuoso ristorante lanciava sul
mercato accompagnato da campagne di marketing ridicole. La storia finisce bene,
in una realtà in cui veramente tutti stanno meglio, nella loro pelle e nella
loro dimensione – di topi e di persone; finisce piuttosto male chi invece
voleva approfittarsene degli altri e puntava unicamente al guadagno, restando
povero – in tutti i sensi.
Una parodia interessante dei modelli
economici, quella che ci propone questo film, molto fine. Ratatouille offre
un’opportunità di riflessione che non è né obbligata e tanto meno immediata, ma
chi a mio avviso riesce a cogliere il messaggio e farne la propria filosofia di
vita, quello improntato sulla qualità di vita, a mio avviso ha colto qualcosa
di importante, l’essenza, il succo della questione per restare in tema di
cucina. Il modello di economia vincente, no, non è quello che ci propone
Ferrara Micocci, quello della nuova economia destinata a crescere anche lei
all’infinito, è quello che riscopre nella semplicità del vecchio la risorsa più
preziosa e la ripropone in una veste – seppure in una veste innovativa, il
nuovo è costituito dal vecchio. Pensate alle pale del mulino e all’energia
prodotta dal movimento delle grandi eliche che producono energia dal vento. E
ci arrivo, finalmente, il modello di vita della decrescita, o crescita felice
che dir si voglia, diventa il modo possibile per superare il capitalismo, quel
modello economico che punta sull’eterna crescita economica dovuta al consumismo
frenato di beni usa e getta; quel modello economico che il vecchio lo butta
via, non lo recupera …e in questo perde tanto, troppo o peggio ancora tutto.
No, non conosco Natalia Ferrara Micocci
Un’ultima considerazione su Natalia
Ferrara Micocci, che personalmente non conosco, non c’è mai stata occasione di
conoscerci, mi sono giunti dei pettegolezzi di natura personale, che
sinceramente non mi toccano. Vivi e lascia vivere. Politicamente la precede
invece una vicinanza ai Masoni che mi porta
ad essere piuttosto freddina nei suoi confronti
- gelida, sarebbe dire troppo, ma essendo quest’ultima l’artefice di una
politica capace prima di tutto di svuotare le casse pubbliche con sgravi
fiscali indecenti, di indebolire il servizio pubblico e poi doversi cimentare
con ripetuti tagli, risparmi (…vi dice ancora qualcosa “la simmetria dei
sacrifici?”) …e ancora sgravi! …beh, significa non volersi troppo bene, la
realtà dei fatti è li da vedere e ancora oggi rincorriamo certi errori. Ma torniamo a Ferrara Micocci, se mi sono
esposta con queste riflessioni non è certo perché ce l’ho con lei, ci
mancherebbe, come detto non la conosco. In questi anni di politica, non l’ho
mai neppure sentita nominare, ma questo non deve per forza significare
qualcosa. Mi ha chiesto l’amicizia su facebook, probabilmente per caso, non
sapendo forse chi sono, o chissà per quale ragione, anche questo non importa.
Vedrò almeno di confermarla questa “amicizia”, così potrà seguire le mie
considerazioni. Piena trasparenza. Ferrara Micocci è anche difficile che
l’abbia incontrata a qualche evento elettorale, perché viviamo probabilmente su
due pianeti lontani e per una persona che lavora, ha due piccole bimbe, impegni
politici a livello comunale, ecc. non è cosa scontata dedicarsi ad una campagna
elettorale; cerco qui e là di non perdermi dibattiti che mi interessano, ma fatico
con le strette di mano e i sorrisetti, non sono tagliata per le campagne
elettorali. Non mi tiro indietro, quando c’è invece da lavorare e fare politica,
fare proposte e partecipare alle attività anche pratiche del fare politica, è
per questo che preferisco essere votata. Ma visto che mi piacerebbe capire
meglio quanto ha scritto Ferrara Micocci nel suo articolo, capirlo in termini
di proposte concrete e non di slogan, sarà mia premura invitarla all’evento organizzato dai Verdi del locarnese che si
terrà la sera del 9 aprile, proprio a Locarno e il tema sarà proprio la presentazione
del libro La Grande Bugia. Quale occasione migliore per conoscerla
personalmente e ascoltare quello che lei ha da dirci e proporci. Sono certa che
ci saprà sorprendere! J
Ciao!