3 febbraio 2011

È arrivato il momento di dire: Nein, Danke!


Illuminante la serata trascorsa al Cinema Lux di Massago, mercoledi 2 febbraio 2011, in compagnia di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chidemi! Imperdibile!
Sono certa che a molte di noi infastidisce il modello della donna presentato sulle televisioni italiane, ma non tanto da studiarlo nei minimi dettagli riflettendo in modo lucido anche sulle gravi conseguenze che comporta la divulgazione di questo modello.

C'è però chi finalmente l'ha fatto e oggi si impegna a divulgarne i pericoli, in modo critico e al contempo costruttivo. Fortunatamente Lorella Zanardo è sempre più presente anche a livello pubblico e mediatico: spesso viene invitata in televisione, viene intervistata dai giornali, invitata da organizzazioni e da istituzioni, come scuole o comuni. Ha perfino presentato il suo documentario alla Dirigenza della RAI e presto, sarà invitata anche al Parlamento europeo - una notizia rassicurante. Ebbene sì, oggi la sua battaglia ha oltrepassato i confini dell' Italia, anche se all'estero, come ha spiegato bene lei, quando si trova in paesi nordici, difficilmente le si crede che quanto ripreso dal documentario sia reale, sia vero. Ahimé, purtroppo lo è.

Da come potrete vedere il documentario "Il corpo delle donne" non ha bisogno di molte spiegazioni per essere capito. E come prima cosa, merita di essere visto e in seguito divulgato! Ecco quindi, come prima cosa: guardate il filmato... buona visione!



Stordite? Sorprese? Incredule?Beh, sopratutto Incazzate!!!  Mi piacerebbe a questo punto approfondire quanto rivela e mette di discussione Zanardo, ma sinceramente lascio che sia un articolo pubblicato sull'Unità a spiegare ulteriormente come comportarsi dopo aver visto questo filmato ed essersi interrogati sul modello di donna che oggi spopola sulle televisioni italiane. E prima di tutto inviterei chi si occupa di intrattenimento, cultura e informazione a chinarsi sulla questione. Insomma, basta umiliazioni, i nostri diritti vanno rispettati: è giunto il momento di rispondere con un Nein, Danke! A questo proposito, per concludere, riprendo un aneddoto di Zanardo pubblicato sull'Unità, aneddoto che ha ricordato anche durante la serata. 

... e prima di lasciarvi alla lettura dell'articolo, ho alcune piccole richieste a tutti voi: divulgate il Nein, Danke! di Zanardo, parlate di questo documentario e promuovetelo tra amici e conoscenti - fatelo nel rispetto dei diritti e della dignità delle donne!

E se vi è possibile, non dimenticate di andare sul sito dell'Unità per sostenere e firmare anche voi la petizione:  Ora basta!

Grazie per il vostro impegno e a ri-ciao! 
Viva le donne!
Nadia

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Rialziamo la testa tutte insieme 
Oltre 74'000 per l'appello dell'Unità
Link: articolo 
Studiavo a Monaco di Baviera, avevo vent’anni e guardavo le mie amiche tedesche con un misto di ammirazione e stupore. Quando mi veniva proposto qualcosa che non mi convinceva del tutto, quando mi si invitata da qualche parte che non mi interessava, riuscivo sì a rifiutare, ma il mio era sempre un «No... grazie... scusa ma... no» e sorridevo imbarazzata, lo sguardo basso, preoccupata di non essere così più gradita.

Benedikte, al contrario, guardava l’interlocutore fissa negli occhi e emetteva un sonoro e serissimo: “Nein, danke”. Lottavo contro una timidezza innata, ma non era solo quella la ragione del mio disagio, lo sentivo. È che a lei, a Benedikte, sembrava non importare molto del consenso del suo interlocutore, almeno non più del suo personale benessere, le era chiaro cosa la facesse stare bene e cosa no: di conseguenza si comportava.

Ho ripensato spesso alla mia amica tedesca in questi due anni di militanza sul territorio, mesi in cui ho portato nelle scuole e nelle associazioni, nelle università e nei dibattiti il video Il Corpo delle Donne e il progetto di media education Nuovi Occhi per la TV.

Ho incontrato migliaia di donne di tutte le età e con loro ho provato a rispondere alle domande che pongo nel documentario: «Perché non ci ribelliamo? Perché non scendiamo in piazza? Perché accettiamo questa umiliazione continua?».

Perché non di sesso si tratta ormai ma di umiliazione che viene proposta dalla nostra televisione a tutte le ore: donne schernite, donne riprese con la telecamera ginecologica, donne a quattro zampe e appese come prosciutti, ragazze derise da presentatori anziani e goliardi.

Mi interessano le risposte delle donne normali, non solo di quelle impegnate, non di quelle che alle manifestazioni ci sono sempre andate, non delle intellettuali. Mi interessano le risposte delle maestre silenziose, delle casalinghe, delle anziane che paiono invisibili, delle ragazzine, di quelle donne di cui mai si parla e che però rappresentano la maggioranza della popolazione.

Trenta anni di trasmissioni che hanno avuto come leit motiv il nostro corpo oggettivizzato ci hanno rese complici: abbiamo guardato quelle i m m a g i n i c h e lentamente colonizzavano il nostro immaginario e davanti a loro ci siamo piegate docilmente: quanto è stato più facile in fondo ubbidire alla dittatura mediatica, quanto è stato più facile dimagrire, gonfiare, tirare piuttosto che capire chi eravamo e cosa poteva farci stare realmente bene.

Abituate da secoli a non renderci sgradite e ad aderire ad un modello che non comporta bizzarrie di liberazione: potresti non essere più una brava moglie, una brava madre, e lo sappiamo quanto male faccia sentirlo insinuare.

«Per prendere coscienza, ci vuole tempo ed energia. Io alla sera sono stanca morta», mi dice un’amica e ha ragione: le donne italiane lavorano in media 2 ore in più al giorno rispetto alle altre donne europee; quelle due ore sono quelle che servirebbero a prendere coscienza, ad informarsi, a crescere.

«Di che cosa abbiamo paura?», ripeto da due anni. Perché può solo essere una gigantesca, enorme paura che ci ha fatto accettare l’inaccettabile sino ad ora. E oggi mi pare di comprendere che è stata la paura di perdere il consenso, la paura di non essere più volute, accettate.

Una orribile paura del rifiuto che ci costringa ad essere sole. “Schiave Radiose” stigmatizza Lea Melandri. Schiave di un’approvazione che potrebbe non arrivare, che potrebbe tardare e, nell’attesa, costrette a sembrare orribilmente radiose, e però lo sappiamo che da quel tipo di schiavitù non potrà sorgere nessuna autentica luce.

«Io lo dico che quella tv mi offende, che quelle donne non mi rappresentano », mi dice una diciassettenne a scuola «ma poi mi scherzano, mi dicono che sono invidiosa, che lo dico perché non sono bella come loro...».

Ragazze amiche compagne: se non ora quando? Se non prendiamo ora la paura per il collo, se nonproviamo a superarla imparando di nuovo a fare rete e a trovare supporto una dall’altra, vicine, insieme a molti uomini che sentono la giustezza della nostra denuncia, se non approfittiamo del momento propizio per dire: Basta! Basta a una dittatura mediatica che ha imposto un modello unico di donna che non ci assomiglia mache è diventato modello per troppe ragazze che hanno avuto la tv come unica maestra..

Basta ad una politica che è solo spettacolo e che non ci rappresenta. Basta alle quasi bambine divenute merce di scambio. Basta al corpo televisivo: andiamo incontro ad una nostra personalissima ricerca: un altro corpo è certamente possibile. Se non ora, quando? Proviamo a dirlo il 13 febbraio il «Nein, danke» che le donne europee stanno già dicendo.
 

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