Nelle ultime settimane sulla RSI si sono spese diverse
critiche e non c’è da stupirsi se questo è avvenuto, visti i licenziamenti
all’americana adottati dalla nuova dirigenza dell’azienda. Un’altra cosa è
invece la difesa del servizio pubblico, che non va confusa con la discussione
in corso relativa ai licenziamenti alla RSI. Questo è un distinguo importante
che pretendo da chi commenta i fatti avvenuti a Comano, perché confondere le
due questioni è sbagliato, non è onesto in termini intellettuali e oltretutto
non giova proprio a nessuno, tanto meno alla popolazione svizzero italiana che
oggi fa capo ad un servizio pubblico che offre un palinsesto completo come
nella altre realtà linguistiche. Su questo secondo aspetto, ossia la questione
del servizio pubblico garantito dalla RSI, negli anni mi sono potuta fare una
mia opinione personale e ritengo che, oggi come oggi, una parte di questa
offerta - nel contesto in cui viene proposta e finanziata – non è giustificata,
ma su questo discorso tornerò in altre occasioni. In questo breve scritto è sui
licenziamenti che voglio spendere alcune righe.
Torniamo alla questione prettamente sindacale, ossia i
licenziamenti “all’americana” – è stato usato questo termine, perché queste pratiche sono note particolarmente
oltre Oceano. Non sono però riferimenti apprezzabili come “all’americana” sono
invece i western, quelli di altri tempi, o ancora la fine dei film
hollywoodiani particolarmente romantici. No, qui di dolce e di apprezzabile non
c’è proprio niente e arrivare ad adottare pratiche così poco rispettose nei
confronti del proprio personale è a dir poco vergognoso. Non mi interessa
sapere se chi ha deciso di adottare queste pratiche era formato a dovere o meno
(certo sarebbe molto grave se non lo fosse), perché di fronte a decisioni di questa
portata è la dirigenza in primis a doverne rispondere e deve risponderne alla
popolazione, perché si tratta di un’azienda che risponde ad un mandato pubblico
e ha una responsabilità sociale nei confronti del proprio personale e nei
confronti della società intera. Se adottare metodi di questo genere è
un’azienda privata il fatto è grave ed inaccettabile per quella che è la
cultura del partenariato sociale di cui dovrebbero essere portatori i nostri
imprenditori, resta pertanto un atto ignobile e riprovevole, ma non tanto
quando a propendere per questi metodi è un’azienda che risponde ad un mandato di
servizio pubblico. Non dimentichiamoci che si tratta oltretutto di RSI,
un’azienda in cui l’attenzione alla comunicazione – interna ed esterna –
dovrebbe essere un punto particolarmente curato e forte, come auspicabile
dovrebbe essere la buona comunicazione e collaborazione con i Sindacati;
un’azienda finanziata dalla nostra società e pertanto ancora più responsabile
in termini di cultura politico-sindacale. Invece è dai peggiori che la RSI è
andata ad imparare o meglio sono le peggiori pratiche che la RSI ha deciso di applicare,
questo è l’aspetto che lascia senza parole.
Di situazioni difficili in termini di mercato del lavoro ce
ne sono e ce ne saranno ancora in Ticino, ma avendo vissuto in prima persona da
sindacalista la chiusura della Clinica Humaine di Sementina, posso dire di aver visto come il
dialogo e il buon lavoro svolto allora dai Sindacati abbia aiutato non poco a
trovare delle soluzioni praticabili, non certo idilliche, ma rispettose nei
confronti del proprio personale e delle diverse parti coinvolte. Mentre la
dirigenza RSI ne ha risposto in modo molto discutibile e oserei dire “goffo”,
da fuori si è potuto notare un Direttore Maurizio Canetta che ha smentito
parlando di falsità, per poi fare ammenda il giorno successivo sui metodi.
Questo è intollerabile, indipendentemente che poi si sia ricreduto sui metodi. Si
sa da tempo che la RSI deve risparmiare e chi conosce l’azienda qualche idea
sono certo ce l’abbia, ma quando poi si legge di concorsi e assunzioni
parallelamente ai licenziamenti, ci si chiede con che lungimiranza abbiano
agito certi vertici e che razza di politica del personale si sia instaurata in
quella azienda. È naturale porgersi certe domande, perché chi queste cose le ha
studiate e conosce l’azienda, può pensare a possibili alternative. Cosa che i
Sindacati hanno giustamente e prontamente messo sul tavolo della discussione.
Ma non ci sarà discussione, perché nonostante nel resto della Svizzera certe
cose non succedano, smentire i vertici appena scelti sarebbe come ammettere un
proprio errore e tornare sui propri passi …e no, in questo panorama, non vedo
persone capaci di tanto coraggio.
Una cosa però è certa, il messaggio è arrivato chiaro e
limpido al personale. Ora non può che regnare la legge della paura e
dell’omertà e a farla franca, ahimé, non saranno certo quelli che osano alzare
la testa, bensì i soliti leccapiedi. Ed è questo che fa male alla RSI, ancora
più delle critiche - alle volte opportune e anche ben argomentate. E sarà
proprio questo che poi, in un prossimo futuro, sarà difficile difendere: quello
che col tempo è diventato questa azienda – non da ultimo un’azienda in cui la
cultura del personale, che dovrebbe fungere da esempio a livello di
responsabilità sociale (oltretutto perché nell’ambito della comunicazione è del
mestiere) non si cura di coinvolgere le parti sociali e di adottare misure
concertate e lungimiranti – quello che ci si aspetta quando si ha a che fare
con aziende che operano per il servizio pubblico.
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